“Midnight in Paris”, in sintesi, è la storia di una coppia di fidanzati che con la famiglia di lei fa un viaggio in Europa per lavoro: una vicenda romantica, in una Parigi di eterna bellezza e fascino, che da sempre incanta il protagonista del film, Gil, interpretato dall’attore statunitense Owen Wilson. Ed è anche l’analisi psicologica di un’illusione potente, tentatrice, insidiosa, che i monaci dell’antichità chiamavano “acedia”: l’illusione che, se avessimo una vita diversa, saremmo più felici. Non è difficile supporre che Gil sia lo stesso Woody Allen, innamoratosi la prima volta di Parigi, e a Parigi, per “Ciao Pussycat”, pellicola del 1965. E come il protagonista di “Midnight in Paris”, anche Allen rimpiange, confessandolo apertamente, di non essersi fermato a vivere nella capitale francese.
Nella finzione del film, Gil è uno sceneggiatore di Hollywood, con antiche aspirazioni da intellettuale, che fa un mestiere ben remunerato nella Mecca del cinema statunitense, ma poco soddisfacente per le sue aspirazioni di scrittore. Nell’ossessione di trovare il romanzo della vita, Gil è disprezzato dai futuri suoceri, che lo considerano indegno di sposare la figlia. La parte di Inez, la fidanzata, è interpretata da Rachel McAdams: una giovane donna abituata a vivere nel lusso. È innamorata di Gil o almeno crede di esserlo, e non vuole che il suo futuro marito abbandoni il lavoro. Durante la vacanza parigina, nelle scorribande notturne accese dalla fantasia, con le quali allo scoccare della mezzanotte viene trasportato nel mondo dei sogni, Gil conosce Adriana, musa ispiratrice (realmente vissuta) di molti artisti tra cui Picasso e Modigliani. Se ne innamora mettendo in discussione il rapporto con Inez, della quale si crede innamorato. Adriana, diversamente da Inez, comprende e sostiene la passione per la scrittura di Gil, incitandolo a proseguire. Entrambi alla ricerca di se stessi, entrambi convinti che in un’altra vita sarebbero stati più felici.
La capitale francese risveglia in Gil ricordi di gioventù (ci aveva abitato a vent’anni), ridesta in lui l’amarezza, ed è attorno a questo sentimento che ruota la parabola introspettiva di Allen, per non aver scelto di rimanere a viverci. Riaffiorano in lui, in modo prepotente, le ambizioni di scrittore, gli amori per i suoi miti letterari, Ernest Hemingway e Scott Fitzgerald, ma anche per la musica di Cole Porter o la pittura di Pablo Picasso. Tutti artisti che “insegue” sferzato dal dolore della nostalgia, proiettandosi con l’immaginazione nel periodo in cui proprio questi artisti hanno vissuto a Parigi, cercandoli e “trovandoli” seduti nei loro caffè, nei lori circoli, nelle brasserie di Pigalle o tra le atmosfere danzanti della Belle époque, chiacchierando al tavolo con Degas e Toulouse-Lautrec.
Gil è rapito, letteralmente, in una dimensione che non esiste, quella appunto in cui molti, anche nella realtà dei nostri giorni, si rifugiano per cercare una vita migliore a quella esistente, cioè l’unica che ci è dato vivere: un’illusione che determina, non di rado, sconcerto e sofferenza. Per il protagonista di “Midnight in Paris”, dunque, la Parigi dei miti letterari e artistici, che hanno segnato l’epopea bohèmienne di questa città, rappresenta il desiderio irrefrenabile di rivincita, il terreno ideale per diventare finalmente uno scrittore vero e non un banale sceneggiatore, recuperando il passato che per lui è la risposta alla crisi professionale, e in seguito si scoprirà anche sentimentale, che sta vivendo.
Per questa commedia Woody Allen ha scelto la capitale francese che considera, per grandiosità, alla pari di New York: fantastica, ricca di storia, di una bellezza straordinaria tra viali, giardini, musei colmi di tesori, mitici caffè, ristoranti che la rendono unica e ineguagliabile. È la seconda volta che Allen gira qui come regista: la prima era stata per “Tutti dicono I love you”, del 1996, con alcune scene ambientate nella Ville Lumière. Il luogo ideale, secondo il regista, dove passato e presente convivono in un’atmosfera magica e fanno da “coprotagonisti” al fianco di Gil, che si muove disperatamente alla ricerca di se stesso. Con un finale che ovviamente non intendiamo svelare, ma che offre all’aspirante scrittore la risposta alle proprie inquietudini. Star male nel tentativo di vivere l’illusione di un’altra epoca non paga: la soluzione è qui, adesso. Alla fine Gil, che in un certo senso interpreta i piccoli o grandi dolori di ciascuno di noi, scoprirà che per essere appagati la ricerca va fatta arrivando a patti con la nostra coscienza, e che non serve fuggire altrove. È il coraggio di cambiare, di mettersi in discussione, che fa crescere. Con la consapevolezza che pur restando noi stessi la felicità è possibile. Non c’è epoca migliore della nostra, realtà diversa da quella che viviamo, per dare un senso alla vita. Basta affrontarla senza scorciatoie.
Parole chiave:
Acedia
- Cinema
- Crisi esistenziale
- Felicità
- Illusioni
- Memoria e ricordi
- Nostalgia